| "Ariovisto, ti ricordi la fiaba di Lars, vero?"
Non a caso, dicevano, la pioggia batte i giorni tristi. Ci si perde ad osservare la determinazione dell'acqua che scivola nel van tentativo di schiarire le troppe ombre che facevano giro a gotico sul legno spesso, di quelli che fan figure sui tavoli o nelle grandi scaffanalature che suoleva avere in casa. Ne rammenta la lucidità, lo scintillare stranamente pacato una volta che il chiaro mugugno del cielo lo prese in giro, lasciandolo solo a passare quello che un paio d'occhi infantili vedono come pomte: quattro uomini per parte, sia a diritta che la mancina; ed essi sorreggevano pali, anch'essi incastonati nel tronco di quella che chiameranno volgarmente come bara.
"Era quel ragazzo che finì per sbaglio nella foresta. Ho ben presente anche io, quanto tu riuscissi a figurarla bene; la tua preoccupazione verso il protagonista mi ha sempre toccato."
Camminavano con una lentezza strenuante, cadenzata dai continui guaiti di quell'uomo che mai aveva visto, e vestiva di bianco portando sulla fronte il nome di sacerdote. Non gli era piaciuto, nulla gli piaceva da fin troppo tempo- e questo, forse, era il ricalco d'una mancanza autoritaria maschile e femminile, nella sua giovane vita. Eppure come potevano garbargli, se suolevano portarsi via ogni sua più piccola soddisfazione. Che fosse anche il più piccolo moto d'allegria, od un appiglio che fino ad un momento prima aveva creduto sicuro- come su quelle montagna di creta, fragili e friabili non appena ci si aggrappa. Non conosceva gran parte delle persone al funerale -benchè fossero poche, in sè-, eppure poteva dir di non sopportarne la maggiorparte.
"Eppure, quando si perse, non ebbe paura."
Odia il modo in cui si rivolgono a sua sorella. Gli par siano le loro parole, ad allontanarla ancora di più di quanto non lo fosse già. Come se continuando a blaterare, cancellassero anche il ricordo della sua voce. Detestava il loro atteggiamento, il modo in cui lo osservavano; con una strana compassione e pietà. Ed era proprio quello che aveva imparato a non ricevere.
"C'è sempre qualcosa che ti porta indietro, Ariovisto. Basta guardare con attenzione, giusto?"
Infine, benchè fosse in basso, e dovesse alzar la testa per vederlo, visualizzò la persona che odiava più di tutti. Avrebbe desiderato non vederla quel giorno, perchè quell'uomo, quel romano, gli aveva letteralmente rubato sua sorella. E lo sapeva, ne era conscio che aveva ben poco tempo da perdere, eppure continuava a rubargliela. E gli pareva lo stesse facendo anche in quel momento, mentre osservava la bara chiusa, pareva che stesse arraffando la sua attenzione. Perchè se Gwen avesse potuto scegliere, avrebbe preferito lui. Non l'aveva mai sopportato, e poco tardava a farglielo capire: mai che fosse un saluto, una parola o gesto gentile da parte sua.
"Lars è uscito dalla foresta, infine. Anche tu ne sarai capace."
Ed ora, proprio mentre osserva l'ulimo membro della sua famiglia andarsene là, sotto terra, si ritrova davanti ad un futuro che non conosce. Sa di doversene andare, sa già di avere un tutore- e non lo vuole, preferisce rintanarsi da solo, nemmeno in un orfanatrofio. Anzi, rivuole sua sorella; fra le scelte gli pare la migliore. Ho paura di camminare troppo, finire la strada da percorrere, volare giù. E' vuoto, si sente solo. E la cosa non gli ha mai dato tanto fastidio.
Odia piangere.
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